LA MARINA DELLE DUE SICILIE – LIBRO DI MARIO MONTALTO
10,00 €
Mario Montalto
La Marina delle Due Sicilie
prima edizione 2007
pagine 56, 8 immagini a colori
€ 10,00 – sconto Soci 30%
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Product Description
Mario Montalto
La Marina delle Due Sicilie
prima edizione 2007
pagine 56, 8 immagini a colori
€ 10,00 – sconto Soci 30%
Le sensiglie erano bandiere reggimentali appartenenti ai Tercios della Napoli ispanica.
Riadottate dalla fanteria dell’Esercito delle Due Sicilie, erano segni distintivi dei tre battaglioni reggimentali. Con questa nuova collana, che presenta testi facilmente fruibili che mettono a disposizione del lettore informazioni altrimenti disperse e difficilmente reperibili, Il Giglio vuole raccogliere la forza simbolica degli antichi stendardi militari per difendere, con lo stesso spirito, la memoria storica delle Due Sicilie.
Il secondo volume della collana è dedicato alla Marina delle Due Sicilie ed è stato scritto dal contrammiraglio Mario Montalto, esperto di storia militare e collaboratore della rivista L’Alfiere. Insieme al precedente l’ Esercito delle Due Sicilie, dello stesso Autore, costituisce un agile strumento di sintesi sulla storia delle armi borboniche, a partire da re Carlo a Francesco II, punto di partenza per più approfondite ricerche, da collezionare e regalare per la precisa ricostruzione storica e per l’elegante veste grafica.
Il contesto storico
Bastarono tre generazioni di Re Borbone per fare della Marina napoletana la terza flotta militare d’Europa, la seconda flotta mercantile, e una delle più ricche di primati al mondo.
Con stile asciutto ed incisivo, il testo ripercorre i passaggi fondamentali della costituzione della Marina borbonica, presentando con rigore tecnico e storiografico gli elementi che ne hanno caratterizzato lo sviluppo e i personaggi che nel bene e nel male ne hanno segnato la storia. Partendo dalla vasta documentazione disponibile, ma frammentata in numerosi testi, viene qui ricomposto un veloce e puntuale quadro d’insieme, che offre al lettore e allo studioso un’agevole sintesi su uno dei vanti del Regno delle Due Sicilie. Infatti, al contrario di quanto viene solitamente narrato dalla vulgata storica, l’Armata di Mare borbonica era una macchina bellica efficiente, ben addestrata, ben armata e con un livello tecnologico avanzatissimo, che la metteva ai primi posti tra le marinerie mondiali.
Il rapido sviluppo impresso dai Sovrani napoletani portò la Marina a livelli di eccellenza tanto sul piano organizzativo – i suoi regolamenti militari erano studiati ed imitati dalle Potenze europee, tra cui l’Inghilterra che vantava una tradizione marinara secolare – quanto sul piano tecnico – furono borboniche le prime navi con motore a vapore a solcare il Mediterraneo e l’Atlantico e l’Opificio di Pietrarsa era all’avanguardia per metodologie e organizzazione.
Il luogo comune, invece, insiste a ripetere la fandonia del “facite ammuina”, l’improbabile ordine che imponeva ai marinai imbarcati di spostarsi inutilmente da un capo all’altro della nave, per dare all’osservatore l’impressione di una grande attività, più volte smentito dagli studiosi ma ancora presente nella divulgazione faziosa.
Così come continua ad essere immancabilmente riproposta la lettura ideologica di una delle figure più discutibili della storia militare napoletana: il comandante Francesco Caracciolo. Montalto ne riconosce le indubbie capacità marinare ma cancella completamente l’aurea falsamente eroica che lo circonda, rivelandolo senza mezzi termini un traditore del Re e della Patria, un ufficiale che chiede di essere posto in licenza mentre il Regno viene invaso dall’esercito straniero; che collabora con il nemico, assumendo comandi militari nella sedicente repubblica napoletana; che tenta di sfuggire alla proprie responsabilità, nascondendosi nella tenuta di campagna travestito da contadino.
Non meno schietta ed equilibrata la valutazione sull’epilogo della storia dell’Armata di Mare proposta dall’Autore, che riconosce tanto i tradimenti quanto l’eroica fedeltà che spaccarono i ranghi ufficiali nel 1860 e individuandone le cause nella corruzione dovuta alla penetrazione massonica, iniziata proprio con la generazione di Caracciolo.
Conservando la caratteristica della collana Le Sensiglie, anche questo elegante volumetto è arricchito da otto immagini a colori che riproducono le opere del maestro Salvatore Serio, pittore messinese da anni impegnato nella ricerca iconografica con raffigurazioni dettagliate delle navi della flotta del Regno.
L’autore
Mario Montalto è nato a Napoli nel 1934 ed è stato ufficiale di carriera nella Marina Militare, congedandosi con il grado di Contrammiraglio. Allievo dell’Accademia Navale, ha frequentato i corsi di Stato maggiore dell’Istituto di Guerra Marittima, l’Istituto Stati Maggiori Interforze e il Centro Alti Studi della Difesa. Studioso di storia militare, ha collaborato alla rivista L’Alfiere. Un suo antenato partecipò il 21 settembre 1860 al vittorioso scontro di Caiazzo, dove i napoletani misero in fuga Garibaldi.
È autore di altri due volumi de Le Sensiglie, L’Esercito delle Due Sicilie e i Cacciatori Napolentani.
Il brano scelto
«Un discorso a parte merita il brigadiere Francesco Caracciolo, catturato in una sua proprietà di Calvizzano mentre cercava di mettersi in salvo travestito da contadino. Processato da una corte marziale sedente a bordo del vascello britannico Foudroyart, ma composta da cinque ufficiali borbonici e il cui presidente era, come accennato in precedenza, il conte von Thurn, fu riconosciuto all’unanimità “reo di alta fellonia” e condannato alla “pena di morte ignominosa”, vale a dire all’impiccagione, ai sensi dell’art. XIV delle “Ordinanze sulla giurisdizione militare e sopra i delitti e pene delle genti di guerra”, pubblicate il 22 maggio del 1789 (i Borbone non applicavano “leggi retroattive”!).
Se ne è voluto fare un martire, ma in tutti i tempi e sotto qualsiasi ordinamento azioni come le sue sono state e sono etichettate come “alto tradimento e passaggio al nemico”, delitto che non poté e non può trovare altra punizione se non la morte e che è tanto più grave quanto più alto è il grado rivestito, atteso che grado più elevato significa maggiori doveri e maggiori responsabilità.
Vale anche la pena di considerare un altro aspetto illuminante: il rientro del Caracciolo dalla Sicilia, con autorizzazione regia, per poter attendere ai suoi interessi personali. E a questo punto irrompe spontaneo nella memoria l’esempio del generale Rossarol che, in veneranda, età com’era sul Volturno “perché”, dirà, “il soldato non è mai in ritiro in tempo di guerra!”. Caracciolo avrebbe, invece, agito in maniera moralmente gravissima, ma il condizionale è d’obbligo perché la realtà fu ancora peggiore: passaggio al nemico.
La leggenda ha voluto giustificarlo con la presunta amarezza che avrebbe provato per essersi il Re imbarcato sulla nave di Nelson e non sulla sua, ma la tesi è priva di fondamento: Caracciolo, abile ed esperto comandante, non poteva pensare che la vita del Sovrano potesse essere affidata alla navigazione su di un’unità con equipaggio ridotto quale era il vascello Sannita, la cosa sarebbe stata inimmaginabile anche per una marinaio arruolato il giorno prima! Meritano rilievo, poi, il tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, tentando la fuga travestito, e le giustificazioni addotte al processo, quali si rilevano dalla relazione del presidente della corte marziale e che sono di seguito riportate: «…e gli ho domandato se avesse delle ragioni da addurre in sua discolpa. Egli ha risposto averne varie, e datogli campo a produrle esse si sono raggirate a contestare di aver servito l’infame, sedicente repubblica, ma perché obbligato dal Governo, che gli minacciava farlo fucilare. Gli ho fatto in seguito delle domande, in risposta delle quali ha confessato di essere sortito con le armi della sedicente repubblica contro quelle di S.M. , sempre perché obbligato dalla forza.
Ha confessato di essersi trovato colla divisione delle cannoniere che uscirono per impedire, per la parte del mare, l’entrata delle truppe di S.M., ma su tale assunto ha addotto che credeva che fossero degli insorgenti; ha confessato aver dato degli ordini per iscritto tendenti a contrariare le armi di S.M. Infine domandato perché non aveva cercato di condursi a Procida e colà tenendosi alle armi di S.M., sottrarsi dalla vessazione del Governo, ha risposto non averlo eseguito sulla tema di essere male ricevuto».
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