L’AGGRESSIONE MILITARE AL REGNO DELLE DUE SICILIE LIBRO

10,00 

Mario Montalto

L’aggressione militare al Regno delle Due Sicilie

prima edizione 2015

pagine 48, 8 immagini a colori

€ 10,00 – spedizione in 3-5 giorni con Poste Italiane
In collaborazione con l’Editoriale il Giglio

Availability: Solo 1 pezzi disponibili

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Mario Montalto

L’aggressione militare al Regno delle Due Sicilie

prima edizione 2015

pagine 48, 8 immagini a colori

10,00 – spedizione in 3-5 giorni con Poste Italiane
In collaborazione con l’Editoriale il Giglio

 

Le sensiglie erano bandiere reggimentali appartenenti ai Tercios della Napoli ispanica.

Riadottate dalla fanteria dell’Esercito delle Due Sicilie, erano segni distintivi dei tre battaglioni reggimentali. Con questa nuova collana, che presenta testi facilmente fruibili che mettono a disposizione del lettore informazioni altrimenti disperse e difficilmente reperibili, Il Giglio vuole raccogliere la forza simbolica degli antichi stendardi militari per difendere, con lo stesso spirito, la memoria storica delle Due Sicilie.

Il nuovo saggio dell’ammiraglio Mario Montalto, studioso di storia militare, prende in esame secondo i criteri della Scuola di guerra – i “fattori di potenza e di debolezza” dell’esercito borbonico, gli errori strategici compiuti nel 1860, la concezione di guerra ideologica e totale combattuta dai piemontesi.

 

Il contesto storico

Il Regno delle Due Sicilie non cadde per “implosione”, come vorrebbe una parte degli storici risorgimentali, ma per un’aggressione militare progettata dal Piemonte, con la collaborazione attiva dell’Inghilterra e la complicità della Francia. Ma perché il Regno non riuscì a resistere all’aggressione militare?

Lo studioso sgombra il campo dall’immagine caricaturale dell’“esercito di Franceschiello”, creata dalla divulgazione risorgimentale. Dopo il riordinamento voluto da Ferdinando II «il nostro esercito era in sintesi un complesso estremamente valido e autosufficiente, non privo, però di difetti strutturali».

Quanto alla Marina, l’Armata di Mare, «nel 1860 essa si presentava come un ottimo edificio, solido moderno, ben strutturato», era «la più importante tra le [Marine] preunitarie per organizzazione tecnica ed amministrativa, qualità e quantità degli stati maggiori e degli equipaggi». «L’edificio, però era corroso dalle termiti e queste termiti erano gli uomini. […] L’ufficialità [dell’Armata di Mare] era inquinata dalle idee liberalmassoniche in proporzione molto più ampia che non l’Esercito e, a differenza di questo, fino ai gradi più bassi».

Le “termiti” che avevano scavato l’imponente edificio della Marina borbonica erano le logge massoniche ed i circoli liberali che avevano conquistato non solo gli alti gradi, ma anche i marinai. Prima di essere sconfitti dalla guerra guerreggiata, i Borbone di Napoli, pur disponendo di un esercito di prim’ordine, erano stati sconfitti dalla guerra occulta, una guerra tipicamente rivoluzionaria, contro la quale il Regno delle Due Sicilie non aveva praticamente difese, se si esclude la consapevolezza di alcuni singoli.

L’aggressione militare al Regno delle Due Sicilie fu preceduta da quella politica. «Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie è politicamente isolato». Questo isolamento è stato rimproverato sia a Ferdinando II che a Francesco II da diversi storici. Ma un riavvicinamento all’Inghilterra, che inizialmente aveva protetto il Regno in funzione anti-napoleonica avrebbe comportato la perdita de facto della Sicilia, che l’Inghilterra voleva per gli zolfi e per farne una base navale, che l’avrebbe collocata al centro del Mediterraneo. La Marina mercantile delle Due Sicilie e le sue esportazioni sarebbero passate sotto il controllo della Royal Navy. Apparentemente un riavvicinamento alla Francia sarebbe sembrato meno pericoloso. Ma alcuni esuli «avevano fatto delle avances positivamente accolte a discendenti di Murat» e la sostituzione della dinastia dei Borbone con quella dei Murat «avrebbe consentito a Napoleone III di fare del nostro Regno un protettorato francese».

Francesco II aveva un carattere mite e generoso, che lo indusse all’errore strategico di abbandonare prima Palermo e poi Napoli al nemico pur di evitare alla popolazione ed alle città gli orrori e le devastazioni dei bombardamenti. La sua concezione era quella della guerra limitata e circoscritta da regole del Medioevo cristiano.

La stessa idea che i suoi generali rimproveravano all’Imperatore Carlo I d’Asburgo (1887-1922), proclamato Beato dalla Chiesa nel 2004 . Ma «nel 1860 siamo alla guerra moderna, quella totale, già praticata dagli eserciti della Rivoluzione francese e napoleonici (…) e già nel 1832 era stata pubblicata la prima edizione di “Von Kriege” [“La guerra”] di Karl Von Clausewitz». Il generale prussiano, già nel primo capitolo si pone il problema dell’etica in guerra (…) e definisce quest’ultima «un atto di forza che ha per scopo quello di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà». Per nemici spietati come gli uomini reclutati da Garibaldi ed i piemontesi, atti di bontà d’animo come quelli dei soldati del 14° Battaglione dei Cacciatori che si tuffarono nel Volturno per salvare la vita ai garibaldini che stavano annegando, senza poi neanche farli prigionieri, erano inconcepibili.

Ma Francesco II si batté con grande valore ed aveva capacità militari. Il Re voleva attaccare di nuovo all’indomani della battaglia del Volturno, (1 ottobre 1860). Aveva compreso che i garibaldini, i piemontesi, e gli altri reparti stranieri che li affiancavano erano allo stremo e non avrebbero resistito ad una nuova offensiva napoletana.

«Quest’ultimo errore – nota l’ammiraglio Montalto – fu frutto della natura troppo temporeggiatrice (e il tempo lavorava contro di noi !) e prudente del generale Ritucci, che prevalse sull’intuizione di Sua Maestà, il quale aveva perfettamente capito la portata della vittoria e voleva che si attaccasse di nuovo e subito».

 

L’Autore

Mario Montalto è nato a Napoli nel 1934 ed è stato ufficiale di carriera nella Marina Militare, congedandosi con il grado di Contrammiraglio. Allievo dell’Accademia Navale, ha frequentato i corsi di Stato maggiore dell’Istituto di Guerra Marittima, l’Istituto Stati Maggiori Interforze e il Centro Alti Studi della Difesa. Studioso di storia militare, ha collaborato alla rivista L’Alfiere. Un suo antenato partecipò il 21 settembre 1860 al vittorioso scontro di Caiazzo, dove i napoletani misero in fuga Garibaldi.

L’ammiraglio Montalto è autore di altri tre saggi sulle forze armate borboniche editi dal Giglio: L’Esercito delle Due Sicilie (2005); La Marina delle Due Sicilie (2007) e I Cacciatori Napoletani 1821 – 1861 (2010).

 

Il brano scelto

«Quando si apre il capitolo finale della plurisecolare storia della nostra patria, è da poco sul trono S. M. Francesco II, uomo di belle qualità e di viva intelligenza, come dimostrerà in diverse circostanze, da ultimo intuendo, a differenza dei suoi generali, quale seguito immediato sarebbe stato necessario dare alla battaglia del Volturno.

Egli, però, è molto giovane e quindi inesperto; il suo profondo sentimento religioso, tendente al misticismo (è il “figlio della Santa”) non è affiancato dal realismo indispensabile ad un uomo di Stato: un essenziale binomio che possedeva in sommo grado il suo predecessore, il grande Ferdinando II, e la cui mancanza, che lo accosta alla figura dell’imperatore d’Austria Carlo I (cui fu rimproverata dai generali austriaci), si rivelerà magna pars di quel problema etico sul quale dovremmo soffermarci in seguito. Basterà qui ricordare la decisione sovrana di abbandonare la capitale per risparmiarle lutti e distruzioni senza rendersi conto dei lutti, delle distruzioni e del sangue versato che una condotta “umanitaria” della guerra avrebbe riservato al suo popolo. Profondamente retto e leale, infine, crede che anche tutti gli altri (e non solamente alcuni) lo siano e questo è un modo di pensare molto pericoloso e foriero di amare sorprese.

I consiglieri del giovane Re saranno di diversa natura ed estrazione: uomini saggi e fedeli alcuni, altri quanto meno discutibili come coloro che lo indurranno a concedere la Costituzione in un momento in cui, se fosse già stata promulgata ed in vigore, avrebbe dovuto essere revocata. Grazie ad essa le strutture dello Stato vengono sottratte al Sovrano e trasferite ai ministri, anche quelle militari e ciò mentre siamo in guerra, se non de iure de facto (ed è ciò che conta).

Delineato così il quadro politico-internazionale e interno, entriamo nel vivo dell’argomento: di tutto quanto avrebbe dovuto esserci e non ci fu, che avrebbe dovuto consentire la nostra salvezza e la cui carenza provocò il nostro crollo militare e, quindi, politico con la conseguente fine del Regno».

 

 

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