PERCHE’ NON FESTEGGIAMO L’UNITA’ D’ITALIA LIBRO
14,00 €
Guido Vignelli – Alessandro Romano
Perché non festeggiamo l’unità d’Italia
prima edizione 2011
pp. 144
€ 14,00 – Spedizione in 3-5 giorni lavorativi con Poste Italiane
In Collaborazione con l’Editoriale il Giglio
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Guido Vignelli – Alessandro Romano
Perché non festeggiamo l’unità d’Italia
prima edizione 2011
pp. 144
€ 14,00 – Spedizione in 3-5 giorni lavorativi con Poste Italiane
In Collaborazione con l’Editoriale il Giglio
Il nuovo volume de Il Giglio è l’operazione-verità che andava assolutamente fatta in questo anno di “celebrazioni” e che gli autori, Guido Vignelli e Alessandro Romano, hanno compiuto perfettamente, con ricerche d’archivio e testimonianze d’epoca che forniscono un quadro dei fatti del 1860-61 molto diverso dalle immaginette risorgimentaliste che la propaganda sta propinandoci a piene mani.
Dalle pagine dei due saggi che lo compongono emerge un’unica verità, inoppugnabile: il Risorgimento fu una rivoluzione, pensata e preparata per motivi esclusivamente ideologici, finanziata dalla massoneria internazionale e da potentati economici locali che “pensavano all’inglese e parlavano francese”, voluta da pochi contro intere popolazioni.
Il contesto storico
La rivoluzione italiana fu realizzata con la violenza delle rivoluzioni e con il furore dell’ideologia e fu animata da una devastante carica anti-cattolica, anti-tradizionale, e alla fine anti-italiana, perseguendo l’unico obiettivo di costruire uno Stato, cioè un’entità amministrativa, che avesse il potere di cancellare tutto quello che millenni di storia avevano composto e sviluppato in termini di civiltà, di scienza, di arte, di lingua, di costume, di diritto, di società, di mutua carità, di equilibrio tra attenzione al particolare e all’universale ereditato dalla romanità e dalla cristianità, e che costituiva l’autentica identità italiana.
Quella identità nata dalla tradizione storica e depurata dalla fede cattolica, che accomunava i diversi popoli della penisola, li distingueva dal resto dei popoli europei e li univa realmente nel rispetto delle singolarità e del retaggio di ciascuno espresso dai Regni preunitari.
Il risultato della rivoluzione italiana fu la cancellazione della cultura italiana, per sostituirla con una funzionale agli interessi di quei potentati che ne avevano deciso le sorti e che trovavano un ostacolo insormontabile nel perdurare dei legami naturali che uniscono gli uomini tra loro, come la famiglia, la tradizione, la patria.
Non fu per caso che l’unico Regno della penisola ad essere attaccato militarmente fosse quello delle Due Sicilie: il suo popolo aveva già dato prova dell’attaccamento alla propria identità, alla Casa regnante ed alla patria, quando nel 1799 insorse contro l’invasore francese.
Alla luce di quella esperienza, i rivoluzionari del 1860 sapevano che contro il Sud bisognava sferrare l’attacco più violento. E così fu. Ciò che seguì, furono 10 anni di lotta tenace e di repressione feroce e la dispersione in ogni angolo del mondo di milioni di Meridionali.
L’unificazione condotta contro i popoli italiani fu la radice di quelle ferite aperte e mai rimarginate: la questione istituzionale, la questione meridionale, la questione cattolica, e – buona ultima – la questione settentrionale. Fu la radice dei “mali italiani” – etici, culturali, politici ed economici – della mancanza di un’identità nazionale, della demonizzazione e dell’emarginazione di intere parti del Paese, fondata sulla pretesa superiorità morale di chi ha fatto l’unità e soprattutto di chi se ne è avvantaggiato, della costante spaccatura in fazioni che ha caratterizzato quest’ultimo secolo e mezzo.
Le conseguenze pesano ancora oggi su tutti noi, espresse nel disagio di essere italiani, nella distanza sempre maggiore tra paese reale e paese legale, cioè tra la gente e lo Stato, percepito come una sorta di monolite dal quale dipende tutto ma, al tempo stesso, dal quale non devi aspettarti niente.
I mali di oggi hanno cause lontane che non è più possibile continuare a nascondere dietro il paravento di una bugia passata per “memoria condivisa”: dopo 150 anni di favole risorgimentali è arrivata l’ora di dire la verità.
Gli autori
Guido Vignelli (Roma, 1954), studioso di etica, politica e scienza delle comunicazioni, è stato tra i fondatori del Centro Culturale Lepanto, del quale è vicepresidente. Dal 2001 al 2006 è stato componente della Commissione di Studio sulla Famiglia istituita dalla Vicepresidenza del Consiglio dei Ministri. Ha tenuto corsi di aggiornamento per docenti al Faes e l’Oeffe di Milano, l’I.P.E. e l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, la Scuola di Formazione Sociale dell’Arcidiocesi di Palermo.
Alessandro Romano è nato a Latina. Appassionato ricercatore e studioso della storia delle Due Sicilie, svolge da anni un’intensa attività di animazione culturale. Dirigente del Movimento Neoborbonico, ha ricevuto nel 1998 dalla Principessa Urraca di Borbone-Due Sicilie il brevetto ad honorem di Capitano.
Il brano scelto
«(…) Ancor oggi si afferma che l’unificazione avvenuta tra il 1860 e il 1870, per quanto non certo esemplare, fu inevitabile in quanto l’unica storicamente possibile. È la solita presunzione di trasformare il fatto compiuto in diritto acquisito.
(…) la cosiddetta unità d’Italia non fu una vera unione politica, ma fu una mera unificazione statale. (…) una unione politica avviene quando le sue potenziali componenti si infeudano o si federano con un patto intorno a un’autorità riconosciuta come superiore – per motivi di prestigio o di potenza – alla quale affidano il potere supremo. In questo senso, tra il 1861 e il 1870, tra i popoli italiani non è stata fatta una vera unione ma una mera unificazione, la quale non ha creato una società vitale e organica ma ha solo prodotto qualcosa di artificiale, meccanico. (…). In concreto, fu un’impresa d’invasione, conquista e annessione fatta dallo Stato militarmente più potente e diplomaticamente più influente – quello sabaudo – ai danni degli altri Stati italici, alcuni dei quali più antichi, ricchi e prestigiosi …»
«(…) In concreto, l’unità d’Italia è stata fatta separando, ed anzi opponendo, le sue necessarie componenti: ossia l’Italia e la Chiesa, l’élite e il popolo, la Patria e lo Stato, il Nord e il Sud.»
«(…) La concezione liberale dello Stato calzava a pennello con le nuove strategie mafiose. Durante l’avanzata di Garibaldi, subito dopo le razzie delle casse comunali e dei beni dei non allineati, il comando passava ai “picciotti”, i garibaldini siciliani composti nella quasi totalità da “squadriglieri” e “campieri” della mafia locale.»
«(…) Rastrellamenti, bombardamenti, fuoco e fucilazioni indiscriminate e sistematiche misero fine ad ogni rivolta, ad ogni parvenza di opposizione, anche di parte liberale, anche di parte filosabauda.
Su una popolazione di sette milioni di abitanti in pochi mesi le vittime sfiorarono le 700 mila unità; gli arrestati in attesa di processo arrivarono a 500 mila. I superstiti delle stragi furono imprigionati oppure allontanati dai loro paesi di origine per fare posto ad altri deportati provenienti dai circondari vicini; intere comunità che avevano cercato scampo con la fuga, al loro ritorno furono respinte e costrette a riparare in località amiche o, in alcuni casi, a diventare nomadi.»
«L’Unità d’Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali» (Giustino Fortunato, lettera a Pasquale Villari, 2 settembre 1899).
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